Morìa s. f. [der. di morire]. – 1. Alta mortalità di uomini o di animali, dovuta a malattie infettive epidemiche o, nel caso di animali, a un alto tasso d’inquinamento ambientale: nel ferrarese … riapparve più fiera la m., tifo o peste, come si volesse chiamare […]
Un nome, un destino: spostando l’accento il risultato non cambia. Il campo profughi di Moria sull’isola greca di Lesbo brucia. Come un inferno in terra.
La morìa di Moria, immaginata, costruita e perpetrata dall’UE, grazie all’accordo con la Turchia del 2016 e l’orgogliosa e rivendicata scelta politica degli Stati Membri di confinare ai margini dell’unione la (non) gestione del fenomeno migratorio ha presentato il conto: un costo morale, etico e storico altissimo. La Libia è immediatamente fuori i confini, così come la Bosnia; Lesbo è immediatamente all’interno, per quanto possa esserlo un’isola.
Nell’immaginario ipocrita e “sognante” del vecchio continente e del suo eterno vizio di far affari con dittatori e assassini, Moria avrebbe dovuto essere un centro di prima accoglienza e identificazione, una sosta breve, dove riconoscere asilo e protezione agli aventi diritto e respingere ad Ankara tutti gli altri, ma, ovviamente si è trasformata in una trappola dove i richiedenti attendono anche anni prima di riuscire a intraprendere le procedure di riconoscimento. Che il campo profughi fosse una prigione a cielo aperto è stato immediatamente evidente. Non abbiamo dovuto aspettare molto perché si palesasse come l’ennesimo simbolo dell’inconsistenza europea, della sua colpevolezza e miopia.
Moria era un accampamento che è giunto ad ospitare sei volte il numero delle persone per le quali è stato progettato, dove c’erano 2 medici per 13mila persone, dove si dormiva anche in 30 in un container o stipati in una tenda da campeggio e sotto lamiere arrugginite; nei momenti di contenuto sovraffollamento, si poteva contare una doccia ogni 100 persone e un bagno ogni 80 individui; liquami fognari e montagne di rifiuti ovunque. Il cibo non sempre arrivava e accaparrarsi la razione alimentare era una lotta quotidiana di sopravvivenza. Moria è una terra di mezzo, dove tutto è stato possibile e nulla ha mai creato scalpore: abusi sessuali di gruppo su donne e minori, episodi sistematici di autolesionismo da parte di giovani ragazzi e bambini, traumi pregressi –per gli abusi e le torture subite nei paesi di origine e durante la fuga – che diventano psicosi incontrollate nello stato di abbandono in cui venivano confinati i richiedenti asilo.
A Moria i bambini tentavano di impiccarsi.
Parliamo al passato perché dal fuoco, dopo l’iniziale terrore per altre vittime da contare, noi instancabili “ottimisti”, abbiamo sperato in una purificazione, in una rinascita, in una presa di coscienza. Ma dopo l’incendio l’unica reazione dell’Ue è stata quella di dichiararsi pronta a “finanziare un nuovo campo più moderno” in Grecia.
È proprio vero che si muore un po’ alla volta.