“I can’t breathe” e, per una manciata di secondi, al mondo intero è mancato il respiro. Le immagini dell’ennesimo omicidio razzista compiuto dalla polizia d’oltreoceano hanno scatenato sensazioni di orrore, incredulità, rabbia. George Floyd.
Sconvolgente: l’arroganza della convinzione di impunità, la teatralità vanesia con cui il boia ha falcidiato una vita umana; in pieno giorno, di fronte a sguardi increduli e telefonini pronti a immortalare, l’assassino era quasi in posa.
Il respiro si interrompe. E poi si innesca la sana e salvifica indignazione per “la più grande democrazia del mondo”, così grande che, a intervalli regolari, esporta il prodotto.
L’abuso di potere lo conosciamo bene in Italia: Federico Aldovrandi, Stefano Cucchi, Arafet Arfaoui, il G8 di Genova 2001…
Lo conosciamo bene in Europa. Ma siamo in grado di riconoscerlo con la stessa lucidità di quando i fatti avvengono altrove?
Nel Mediterraneo, il rifiuto di soccorso a chi sta per annegare equivale a uccidere; ai confini tra Turchia e Grecia dove ancora non si conosce il numero esatto dei morti senza nome sotto i proiettili della polizia di frontiera; in europa dell’est, sulle montagne croate, dove le forze di confine di uno stato membro dell’ UE, impunemente, risaputamente, QUOTIDIANAMENTE commettono brutalità inenarrabili sui corpi dei migranti, senza contare morti e sparizioni. Ma chi non ha nome, si sa, non muore mai.
C’è da dire che, nel vecchio continente siamo meno plateali, facciamo le cose di nascosto o voltiamo lo sguardo dall’altra parte. Forse ci vergogniamo ancora un po’, ma il terreno è pronto per non essere da meno: abbiamo creato categorie umane di serie B, gli abbiamo cucito addosso un abito di pregiudizi, abbiamo perfezionato l’equazione migrante=criminale, fino alla spersonalizzazione, al disconoscimento della dignità e umanità.
E contro i fantasmi, per di più malvagi, si sa, è tutto lecito.
In foto: transitanti violentemente respinti al confine bosniaco-croato. Riportano ustioni gravi, fratture degli arti, traumi cerebrali.