Mentre i Ministri dell’Interno europei discutevano di immigrazione, quello italiano intratteneva il pubblico da Barbara D’Urso. Mentre si riuniva il Consiglio dei Ministri, lo disertava per litigare con i gabbiani in diretta Facebook. Mentre l’antimafia chiedeva un’audizione sull’operato degli Interni, in merito a illeciti su l’approvazione di leggi proprio in seno alle Infrastrutture, preferiva dileggiare e far identificare gli oppositori dai palchi dei suoi continui comizi.
Se già questo sembra folle, c’è una nave di soccorso con 5 bambini a bordo a 16 miglia da Lampedusa, rispedita senza traccia di buonsenso e umanità in Libia, ora nel caos e in nessun modo porto sicuro, sempre dallo stesso Ministro.
53 persone che la ONG Sea-Watch, in ottemperanza delle leggi internazionali, si rifiuta di riportare ai trafficanti di esseri umani che operano nei centri di detenzione libici, quelli che l’UNHCR sta evacuando perché la guerriglia dilaga.
Anche Sos Mediterranee e Medici senza frontiere denunciano che a un anno dall’annuncio del Ministro di chiudere i porti alle navi umanitarie almeno 1.151 persone, uomini, donne e bambini, sono morte, e oltre 10.000 sono state riportate forzatamente in Libia, mettendole al rischio della vita e ad atroci sofferenze.
Il tornaconto di chi governa è quindi più importante della vita delle persone e del rispetto dei diritti e dei doveri nazionali e internazionali?
Siamo tutti in pericolo se una persona può stravolgerli a proprio favore, avanzando scuse e inquinando la verità con notizie false e continue diffamazioni ai danni dei soccorritori.
“Ho appena firmato il divieto di ingresso, transito e sosta alla nave Sea Watch 3 nelle acque italiane, come previsto dal Nuovo Decreto Sicurezza. Ora il documento sarà alla firma dei colleghi ai Trasporti e alla Difesa: stop ai complici di scafisti e trafficanti»” dichiara.
Ma arriva già un passo indietro, ora che anche le Nazioni Unite riconoscono che il respingimento collettivo dei migranti in Libia è reato, sono state fatte sbarcare 10 persone.
Ma non basta.
Per i morti nel Mediterraneo, oltre 2000 dal 2018, per le donne, gli uomini e bambini torturati in Libia, in fuga da guerre, fame e dittature, per la tutela dei nostri stessi diritti fermiamo questo orrore prima che sia troppo tardi, per tutti.
La Libia non è un porto sicuro #ApriteiPorti #LibyaIsNotSafeZone