In questo momento ci sono in strada donne e bambini che supplicano di essere portati subito “a casa” perché si gela. I centri a loro dedicati non apriranno prima delle 20 e 40 e siamo qui a stringerci nei cappotti e nelle coscienze in attesa che i volontari li possano portare a destinazione.
Arrivano a decine al presidio di Piazzale Spadolini, nonostante i porti chiusi a scopo propaganda, in questi giorni freddi, freddissimi fuori e dentro. Dopo lo sgombero del 13 novembre, abbiamo avuto oltre 150 nuovi arrivi, compresi donne e bambini anche molto piccoli provenienti dagli sbarchi in Sicilia e Calabria, o dal nord Europa rispediti in Italia in applicazione del Regolamento Dublino. Si aggiungono ai migranti rimasti ancora esclusi dal sistema di accoglienza istituzionale, nonostante le promesse che ci erano state fatte dai rappresentanti delle Istituzioni prima e dopo gli sgomberi. I volontari ce la stanno mettendo tutta: le attività, riprese a ritmi frenetici, impiegano decine di persone che condividono la strada con i migranti durante il giorno, cercando con i pasti caldi e un vestiario adeguato, di sopravvivere al freddo. Resistiamo, per natura e per senso di responsabilità ma l’assenza e l’accanimento delle Istituzioni stanno rendendo la vita di queste persone e le nostre vite per empatia e rispetto, troppo dura.
Troppo poche e precarie le risposte: 40 brandine offerte dal Comune e Ferrovie dello Stato poche ore ogni notte (dalle 21.00 alle 05.00), chissà per quanti giorni ancora, e continui rifiuti a cui seguono le solite scuse degli addetti ai call center del Comune, proprio quelli che dovrebbero fornire un supporto.
Grazie a decine di volontari, ai cittadini, ai donatori, noi continuiamo a fare la nostra parte ma non basta: 35mila persone che hanno firmato la nostra petizione change.org/Accogliamo chiedono a gran voce che le istituzioni e Ferrovie dello Stato si facciano carico di questa situazione, sono cittadini che non hanno ceduto alla narrazione fuorviante e contraffatta con cui purtroppo rappresentanti stessi delle istituzioni cercano di lavarsene le mani. Torniamo a chiedere quindi – e vi chiediamo di continuare a farlo insieme a noi – che il Consiglio di Amministrazione di Ferrovie dello Stato si renda presto disponibile ad un confronto con l’ente locale e le associazioni che operano nella zona, attualmente in modo precario e in condizioni proibitive, per rispondere alle primarie necessità dei migranti in transito e degli esclusi dall’accoglienza alla Stazione Tiburtina, e a 35mila cittadini che hanno deciso di non essere più indifferenti e di portare avanti questa battaglia per i diritti di tutti insieme a noi.
Per noi che viviamo sicuri nelle nostre tiepide case
Alle sei della sera le strade di Roma si riempono di auto. C’è traffico ovunque. Caldo o freddo, pioggia o bel tempo, estate o inverno, l’ingorgo a quell’ora è dietro l’angolo. A gennaio poi il buio avvolge già la città e le vie sono corridoi di lucine che somigliano a brave di lumaca luminose. Anche oggi era così. In un pomeriggio di quel freddo raro di Roma, che sempre ci sorprende, le strade sono invase dal traffico, i marciapiedi no, quelli sono pressoché vuoti.
I marciapiedi. Se avessero la parola quante storie potrebbero raccontarci i marciapiedi.
Poi quelli di Roma! Ci potrebbero dire delle loro ferite per le tante buche che nessuno ripara, dei loro amici alberi bistrattati se non segati, delle offese che subiscono a forza di essere scambiati per cessi da cani, del tappeto di immondizia che spesso li soffoca, dei passeggini che non riescono a goderseli, dei bastoni degli anziani che tentennano tremanti sulle loro rugosità trascurate. Ci potrebbero raccontare dell’umanità incredibilmente varia che li calpesta.
Oggi un marciapiede di Roma era l’unico luogo che questa città era capace di offrire a uomini e donne lontani migliaia di chilometri dalle loro case. Uomini e donne che non conoscono la nostra lingua, che possiedono solo i loro vestiti comunque troppo leggeri per questa tramontana. In quel non luogo limitrofo alla stazione Tiburtina, in mezzo ad un capannello di una smarrita umanità, Myriam da ascolto a tutti, ha un sorriso per uno, risponde ad un telefono per un altro, fa tradurre qualche parola per altri ancora. Qualche biglietto di treno spunta qua e là: il viaggio non è finito. Parlo con quel gigante di donna di Myriam. Poche battute, non ho il diritto di rubare tempo a tutti quelli che aspettano una sua parola.
Lascio quel marciapiede smarrito, con un senso di amaro in bocca fortissimo.
Concediamo a queste donne e a questi uomini solo uno dei nostri marciapiedi, quelli che usiamo per depositare l’immondizia e le deiezioni canine.
Il traffico mi ingoia di nuovo, ad un semaforo un venditore di palloncini con bastoncino di plastica che brilla di lucine richiama la mia attenzione con un “capo vuoi?”. Sorrido e stringo le spalle, mi risponde con un ampio sorriso che illumina il suo pacioso volto.
Cavolo, devo correre a casa, il freddo ha fatto effetto, se non mi sbrigo me la faccio sotto.
Intanto quelli della stazione Tiburtina sono sempre lì, su un marciapiede. Questo è quello che Roma sa offrire loro.
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