Oumar viene dalla Guinea, la sua storia racconta un viaggio lungo, drammatico che lo ha portato, come tanti altri, fino a Baobab Experience. Ha dormito in tenda ha ottenuto il permesso e ha iniziato il suo percorso di inclusione in un nuovo Paese.
Grazie all’attività di Baobab 4 Jobs molti ospiti riescono a entrare nel mondo del lavoro o a continuare gli studi. Fa parte della nostra idea di accoglienza quella di aiutarli ad uscire prima possibile dal limbo del campo profughi o dei centri, affrontando insieme il percorso di emancipazione e autoderminatzione nella società. Non tutti però sognano di essere cuochi o professori, alcuni scrivono canzoni e sognano di diventare delle star. Niente più di come immagini la tua vita, le speranze che riponi nelle sue opportunità ti aiuta ad affrontarla.
Nel caso di Oumar e della sua crew, questa sfida alla vita è portata avanti con la musica. Tra le attività più difficili e più belle dei volontari l presidio, c’è l’ascolto dei racconti di viaggio, dei traumi, delle necessità ma anche dei sogni delle speranze. Da qui cominciamo a conoscerci a far cadere le barriere e a intrecciare le nostre storie. -“Ho scritto una canzone, per chiedere all’Europa e all’Africa di proteggere i migranti, i miei fratelli sono in pericolo: io che ora sono in salvo voglio aiutarli”.
Così abbiamo voluto aiutare Oumar e la sua Crew a realizzare il videoclip di questa canzone.
Una canzone che racconta il dramma che si consuma quotidianamente alle frontiere, in Libia, sulle nostre stesse strade.
Abbiamo selezionato dai network internazionali le testimonianze filmate di questo dramma e le abbiamo inserite nel videoclip. Mostrandolo agli ospiti al presidio, ognuno, di fronte alle immagini delle diverse frontiere ci diceva -“io sono passato così dalla rete” oppure -“lui non può guardare le immagini del mare, perché è arrivato col barcone, dalla Libia. Ha paura ancora”.
Le immagini e soprattutto la musica hanno un forte impatto emotivo, riportano a galla ricordi, dolore ma stimolano anche fantasie e speranze personali. Dalla coscienza di avercela fatta nasce la coscienza di poter fare qualcosa per chi ora è appeso a quella rete a Mellilla o a Ceuta, annaspa in acqua a poche miglia di Lampedusa, congela tra le montagne a Bardonecchia. L’arte stimola speranze personali che accendono la scintilla delle speranze collettive, l’arte può essere anche una forma di lotta.
Abbiamo pensato perciò di aprire insieme ai migranti un laboratorio creativo, tra le difficoltà oggettive della vita in strada e della mancanza di risorse ci proveremo: non è la fama, i soldi il successo personale che ci interessano, ma la giustizia sociale, il percorso verso l’autodeterminazione, la sensibilizzazione dei governi, una lotta creativa che proviamo a fare insieme.