Sono passati nove giorni dallo sgombero pacifico di via Cupa e oggi dal commissario Tronca andiamo dopo un’estenuante mobilitazione nel costante sforzo di “restare umani”, senza una sede fisica e con enormi difficoltà logistiche. Perchè, se il ricollocamento del 6 dicembre è stato un obiettivo pienamente raggiunto, anche grazie alla Sala operativa del Comune, come previsto quello che è accaduto nei giorni successivi è stato un protrarsi di un’emergenza a cui l’amministrazione ha partecipato nel monitoraggio ma che è stata affrontata interamente sul lato gestionale dai volontari. Si è trattato di fornire pasti caldi, vestiti invernali e un posto al coperto (che chiamare letto sarebbe decisamente ardito) a circa 20 persone al giorno, e di gestire un presidio molto più numeroso davanti ai cancelli chiusi del Baobab, contando su un camper fornitoci da Medu per l’assistenza medica e legale e gli spostamenti logistici. Durante la notte sono state le sedi di partito a dare la propria disponibilità (per la quale ringraziamo Sel e Sinistra italiana); per noi è stato già un enorme successo garantire il soddisfacimento dei bisogni primari, e ci perdoneranno i nostri ospiti se in questo Baobab sgarrupato non siamo stati in grado di offrire le “rose” che elargivamo ai nostri 35.000 ospiti quest’estate, l’accoglienza entusiastica, le danze, i concerti ed i giri per la città. Senza una struttura avevamo altro a cui pensare, la lotta quotidiana contro il freddo; abbiamo rivisto bussare alle nostre porte (quali?) ancora una volta transitanti eritrei o in fuga da dittature e luoghi di dolore. Perchè la migrazione di chi scappa è un processo continuo, i numeri aumenteranno anche vista l’entità degli ultimi sbarchi ed è impensabile che il tutto sia gestito interamente dal buon cuore e dalle capacità organizzative dei volontari (seppur questo sia servito e servirà). Per questo arriviamo alle porte del Campidoglio fiduciosi, come lo eravamo il 6 dicembre, ma tanto stanchi; arrabbiati, sì, perché è inderogabile la predisposizione di un piano serio di accoglienza. Bussiamo facendoci sentire, perchè l’umanità passa ed è passata per le rose, ma il pane almeno è una responsabilità dalla quale le istituzioni non si possono esimere.