In transito

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Via Cupa a Roma, tra la stazione Tiburtina ed il Cimitero Comunale del Verano, il nome non evoca pensieri positivi e, a giudicare dalla posizione della stessa, viene facile ironizzare sul sentimento che abbia animato il preposto al comune di Roma per la scelta di un simile nome. La via è piccola e quasi nascosta alla vista di chi, trafelato e distratto dal quotidiano, percorre giornalmente in auto la caotica e trafficata via Tiburtina. In 45 anni non avevo mai avuto ragione o motivo di mettervi piede e probabilmente non ne avrei avuti per molto tempo ancora se non fosse per il fatto che oggi in questa via esiste una realtà come quella del centro di accoglienza per migranti in transito “Baobab”. Un’ex vetreria abbandonata completamente autogestita da volontari romani (ma non solo) in cooperazione con le centinaia di migranti, per lo più eritrei, somali ed etiopi, che fuggono dalla fame e dalle dittature, ed approdano in Italia per mezzo dei tristemente noti “viaggi della speranza e del terrore”. Qui, giornalmente, trovano accoglienza 300-400 persone (con punte registrate anche fino a 800 e più) in una struttura troppo piccola per contenerne così tanti. La maggior parte dei migranti sosta solo per pochi giorni e poi va via, verso i paesi del nord, cercando di ricongiungersi ai familiari o amici che già sono in quei paesi. Con questo racconto fotografico abbiamo cercato di documentare una realtà storiografica che, pur essendo ben visibile all’interno del contesto urbano, tende al tempo stesso a non essere vista, perché inglobata nei ritmi confusivi del quotidiano. Abbiamo voluto raccontare, attraverso lo strumento fotografico, i momenti salienti di vita del centro nel loro fluire, mostrando le persone, i luoghi, gli oggetti che caratterizzano il centro stesso, divenuto simbolo per i diritti dei migranti e il loro libero transito. Raccontiamo la storia di tante persone e degli operatori che le accompagnano in questa fase del loro percorso, partendo dall’idea che sono i fatti a parlare, nella loro concretezza più potente ed eloquente di qualsiasi strumentalizzazione ideologica.

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Gli arredi del Baobab in sintonia con le origini degli occupanti, l’organizzazione e la pulizia, sono la cosa fondamentale da mantenere per garantire agli ospiti un ambiente igienico e al tempo stesso il più confortevole possibile

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Un pasto caldo, cure, vestiti da indossare, un materasso per dormire e assistenza legale è quanto viene garantito ed offerto alle persone.

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Dare prima di ricevere. Nelle molteplici criticità dell’organizzazione autogestita, la cooperazione diventa fondamentale per far funzionare la macchina, questo lo sanno i volontari ma anche gli ospiti del centro che quindi si attivano per mantenere puliti i locali, far da mangiare e garantire una comunicazione efficace tra le varie etnie.

Al Baobab non si accettano soldi in contanti, solo aiuti materiali. Il viavai di auto e furgoni, carichi di cibo, suppellettili, vestiti ecc. è pressoché costante. All’arrivo di un’auto, insieme ai volontari del centro, partono gruppi di migranti che si fan carico di portare il cibo nelle dispense ed i materiali nei magazzini. La raccolta dei materiali, dei cibi, dei vestiti e delle medicine è gestita quotidianamente.

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Comunicare è fondamentale! Tutti possiedono un telefonino, ma non è un vezzo, è l’unico strumento grazie al quale possono rimanere in contatto con i familiari lasciati al loro paese o con quelli con i quali potersi ricongiungere nei paesi di arrivo. Senza cellulare non puoi partire perché è con questo che paghi il viaggio ai trafficanti di uomini, che ben conoscono i moderni mezzi di trasferimento di denaro telematico, si fa tutto con il cellulare. Le ricariche telefoniche sono l’unica cosa che il centro non può permettersi, è facile allora che qualcuno, meno schivo e diffidente, cerchi di avvicinarti con la richiesta di una scheda per la ricarica

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Il quotidiano di questi giovani ragazzi trascorre in una sorta di limbica attesa. Sono tutti potenziali rifugiati politici che però non chiedono asilo in Italia perché in Italia non hanno intenzione di rimanere e il trattato di Dublino parla chiaro, se richiedi asilo in un paese europeo, il riconoscimento del diritto vale solo per quel paese e solo in quel paese potrai muoverti liberamente. Alle loro spalle un passato difficile, duro, davanti un futuro incerto ed altrettanto difficile. Nell’attesa di riprendere il lungo viaggio, le giornate trascorrono lente, spesso noiose, poi arriva un’auto che, tra le cose da donare, scarica un paio di palloni e allora, per qualche momento, i ragazzi si rianimano giocando a basket o a calcio in strada. Qualche ragazza si rivolge al parrucchiere improvvisato, altri semplicemente osservano ed attendono un futuro migliore.

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Foto e testi di Gian Luca Bertarelli e June RainBow 

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